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Didattica fenomeni & parametri atmosferici

I cicloni tropicali: depressioni, tempeste, uragani

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Hurricane_Isabel_MPIIl termine “ciclone tropicale” si riferisce, in generale, ad una perturbazione con moto rotatorio su vasta scala che si forma sopra le acque tropicali quando il vento in superficie supera determinati valori d’intensità. I cicloni si estendono, in media, da 300 a 800 Km circa di diametro. Ragion per cui, quando raggiungono le coste, possono produrre danni molto estesi ed ingenti sul territorio.

Il ciclone nasce come “depressione tropicale” (con una velocità media del vento di superficie compresa tra i 37 ed i 63 km/h) che si rinforza diventando “tempesta tropicale” (con una velocità dei venti compresa tra i 64 ed i 119 km/h).

Quando i venti di superficie raggiungono invece i 120 km/h la tempesta viene classificata come:

-   “uragano” nell’Atlantico settentrionale e nel Pacifico nord-orientale;

-   “tifone”: nel Pacifico nord-occidentale;

-    “ciclone” (resta invariato) nel Pacifico sud.occidentale ed Oceano Indiano.

Localmente, sono stati usati i termini Bagyo nelle Filippine, Taino ad Haiti e Willy-willies in Australia.

depressione_tropicale_MPI

Da ora in avanti menzionerò dunque il termine “uragano” annoverando formalmente in questo termine anche il “tifone” e il “ciclone” utilizzati alla stessa stregua per descrivere il medesimo evento. In altre parole cambia la forma ma non la sostanza.

Il centro di un uragano è costituito da un settore atmosferico (del diametro di 30 – 50 km) di relativa quiete, privo di nubi e caratterizzato da un’enorme massa d’aria fredda discendente: è l’occhio del ciclone, ai cui bordi aria in rapida ascesa condensa in un vero e proprio muro di nubi e produce i maggiori effetti meteorici al suolo per opera degli imponenti downdrafts dei cumulonembi. Ed è proprio in questa zona marginale dell’occhio che spirano i venti di superficie più forti, ruotando in senso antiorario nell’emisfero boreale e in senso orario in quello australe. Attorno all’occhio i cumulonembi si dispongono in una serie di clusters temporaleschi in spirale. Le nubi vengono continuamente generate dall’intensa attività termoconvettiva ed igrometrica causata dall’evaporazione delle calde superfici d’acqua dei mari tropicali.

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Calore e umidità si disperdono fuori dal sistema alle alte quote man mano che uno strato di cirri si allontana dal centro, con movimento (piuttosto lento rispetto a quello dei venti di superficie) a spirale e di verso opposto alle correnti termodinamiche di basso livello.

I venti di un uragano possono causare effetti distruttivi ad ampio raggio sulle zone litoranee producendo inondazioni ed alluvioni causate, rispettivamente, dall’impressionante intensificarsi del moto ondoso e dalle abbondanti e violente piogge originatesi.

Un uragano, infatti, giunge generalmente sulle coste dopo aver accumulato enorme energia (sinergia di umidità ed attività convettiva) sulle superfici d’acqua oceaniche.

La bassa pressione sopra l’oceano causa una sorta di sollevamento “a cupola” della superficie d’acqua al di sotto dell’uragano. In oceano aperto il moto ondoso produce solitamente un vasto rigonfiamento alto non più di mezzo metro, ma nella sua corsa verso la costa, diminuendo la profondità del fondale, le onde acquisiscono un’altezza maggiore e possono potenzialmente produrre inondazioni catastrofiche lungo le coste, soprattutto in coincidenza dei periodi di alta marea.

Le intense piogge, altresì, costituiscono un problema ancor più grave considerando un potenziale  (seppur frequente in realtà) rallentamento dell’uragano dopo aver superato la linea di costa. In un solo giorno possono cadere anche più di 250 mm di pioggia.

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Nel 1971 l’ingegnere civile Herbert Saffir ed il meteorologo dell’ U.S.A. Hurricane National Center, Bob Simpson, hanno elaborato una scala (Scala Saffir-Simpson) di cinque gradi d’intensità degli uragani. La potenziale evoluzione da una categoria all’altra risulta evidente non solo alle strumentazioni a terra ma anche dalle immagini satellitari in tempo reale.

Così come avviene per un mesociclone foriero di tornado, anche un uragano molto intenso mostra lineamenti più marcati, evidenziando striature più accentuate e contorni della struttura più netti (soprattutto quella dell’occhio) all’osservazione dallo spazio.

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I meteorologi compiono non pochi sforzi per comprendere sempre meglio l’evoluzione dei cicloni tropicali. Le previsioni di essi si basano sul costante monitoraggio, grazie alle immagini satellitari, del percorso e dell’intensità di queste violente perturbazioni. In virtù dei numerosi centri di ricerca e studio negli U.S.A., muniti di numerose e diversificate attrezzature tecniche, quelli più osservati sono gli uragani dell’Atlantico settentrionale anche in ragione della loro straordinaria potenza.

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I cicloni tropicali si originano sui settori tropicali oceanici almeno 5 gradi a nord o a sud dell’equatore (nei pressi dell’equatore l’effetto coriolis è troppo debole per indurre il moto delle nubi in un regime di rotazione), dove la temperatura delle acque è almeno di 27 °C. Essi possono svilupparsi da perturbazioni generatesi a migliaia di chilometri di distanza. Gli uragani del nord Atlantico, ad esempio, nascono tipicamente come perturbazioni temporalesche sulla terraferma prima di muovere sulle acque a breve distanza dalla costa dell’Africa occidentale, spesso nei pressi delle isole di Capo Verde.

In genere la dinamica metamorfica della genesi e dello sviluppo di un ciclone tropicale mostra diverse tipologie di altocumuli che successivamente si addensano ed evolvono in un cluster di celle temporalesche che circola attorno ad un largo centro di bassa pressione e muove verso ovest trasportato dagli alisei (depressione tropicale). Mentre scorre verso i Caraibi il ciclone acquista intensità se l’aria surriscaldata e molto umida (che ruota vorticosamente avvicinandosi al suo centro ai bassi livelli) viene prevaricata da aria più fresca che si diffonde fuori dal sistema ciclonico alle alte quote (tempesta tropicale).

In Italia, recentemente, si è invece verificata un’eccezionale tempesta tropicale impressionante, vista dal satellite. Era il 25 agosto del 2003:

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Se la massa d’aria in uscita è maggiore di quella in ingresso, la pressione al suolo diminuisce ulteriormente, notevolmente e repentinamente, causando perciò l’insorgere di forti venti barici di superficie. Ma un uragano ha bisogno anche di altri fattori per procedere indisturbato verso il suo completo sviluppo. Affinché i cumulonembi raggiungano altezze considerevoli e perdurino nella fase evolutiva del ciclone, l’aria nella media troposfera deve essere molto umida perché l’inserimento di aria secca nel sistema soffocherebbe i processi di condensazione. Solitamente, comunque, i venti che rinforzano gradualmente sul mare favoriscono l’evaporazione ed il movimento dello strato limite termico verso l’alto, "lanciando" il top delle nubi a quote ragguardevoli.

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A livello mondiale, l'attività dei cicloni tropicali ha un picco a fine estate quando le temperature dell'acqua sono più alte. Peraltro, ogni bacino ha il suo specifico andamento stagionale.

Nell'Atlantico settentrionale, gli uragani si concentrano nel periodo giugno-novembre, con un picco tra la fine di agosto e tutto settembre (il picco statistico medio cade il 10 settembre). Il Pacifico nord orientale ha un periodo di attività più ampio, ma simile all'Atlantico. Il Pacifico nord occidentale vede cicloni tropicali tutto l'anno, con un minimo a febbraio e un picco all'inizio di settembre. Nell'Oceano Indiano settentrionale i cicloni tropicali sono più frequenti da aprile a dicembre, con picchi a maggio e novembre.

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Nell'emisfero australe l'attività dei cicloni tropicali comincia alla fine di ottobre e finisce a maggio, con un picco tra la metà di febbraio e i primi giorni di marzo.

A livello mondiale, si formano in media 80 cicloni tropicali all'anno.

Durante il loro passaggio sull’oceano gli uragani possono però anche indebolirsi e nuovamente intensificarsi o meno in relazione alle variazioni di temperatura della superficie dell’acqua. Giunti sulla terraferma diminuiranno poi progressivamente la loro potenza  venendo a mancare l’approvvigionamento igrometrico.

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Gli uragani che colpiscono i Caraibi si formano e compiono un percorso sul nord Atlantico tropicale, dove le possibilità di osservazione di superficie sono scarse. Per questo motivo, per il monitoraggio di essi, occorre fare affidamento sulle immagini satellitari per individuare gli spostamenti dell’occhio e calcolarne la traiettoria elaborando man mano dei modelli di simulazione al computer a scopo previsionale.

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Inoltre, mentre i satelliti offrono un rilevamento delle immagini a grande distanza, particolari aeromobili, progettati appositamente per resistere alle turbolenze generate da un uragano, eseguono rilevazioni dettagliate volando a diverse quote e fornendo preziosi dati di elevata precisione registrati sia dagli strumenti di bordo che dalle sonde a caduta. Queste ultime sono dispositivi che, una volta lanciati, eseguono costantemente letture di pressione, temperatura, umidità e velocità dei venti alle diverse altitudini e permettono successivamente di tracciare grafici che, interpolati tra loro, forniscono ai tecnici e scienziati dell’Hurricane National Center di Miami, in Florida, la possibilità di costruire modelli previsionali di volta in volta (e cioè a brevissimo termine) circa la traiettoria, intensità e tipologia dei fenomeni associati all’uragano oggetto di monitoraggio.

Roberto Viccione

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