Didattica tornado
Tornado, "tromba d'aria" o downburst?
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- Pubblicato 30 Maggio 2011
- Scritto da Roberto Viccione
Non è raro ascoltare al telegiornale (o leggere sui quotidiani) notizie di “trombe d’aria” in relazione a qualsiasi tipologia di evento dannoso causato da forti venti. L’utilizzo del termine “tromba d’aria” è, per tutti gli appassionati di eventi estremi di meteorologia, un termine troppo generico e, spesso, utilizzato in modo improprio ancorchè giustificabile da un punto di vista di efficacia comunicativa per evitare il rischio di potenziali incomprensioni di linguaggio tecnico.
L’utilizzo del termine “tromba d’aria” è, generalmente, utilizzato in Italia anche da meteorologi seppur, ovviamente, a ragion veduta.
Si tratta del corrispondente termine inglese (o meglio, americano) “tornado”, e descrive un fenomeno termodinamico dell’atmosfera ben preciso. In quanto termine generico, “tromba d’aria” comprende, per i non addetti ai lavori, tutte le “sottocategorie” associabili, ma non del tutto esattamente, alla fisionomia dei tornado: gustnado, waterspout (tromba marina), landspout, dust devil (mulinelli d’aria a ciel sereno). Alcuni di essi, con un tornado, hanno davvero poco in comune.
Il termine italiano “tromba d’aria” acquisisce perciò caratteri troppo generici per gli esperti (e, soprattutto, per i giovani studiosi che vorranno diventare validi esperti) e tecnici del settore. Questo perché le sottocategorie di “tornado” non sono tutte scaturenti da parametri fisici associabili ad una stessa origine. Anzi, alcune di esse (gustnado e dust devil) non devono neanche considerarsi parenti dei tornado perché non presuppongono (come nel caso di landspout e waterspout) la coesistenza e l’interazione di due elementi fondamentali: un cumulonembo (o, raramente, anche un cumulo congesto) e una debris cloud (nube di detriti originata al suolo dall’azione meccanica di violenti venti ascensionali (e discensionali) in rotazione.
Ad accentuare ancor più la genericità del termine “tromba d’aria” tra il pubblico (ascoltatore, auditore o lettore) è l’oggettiva abitudine di inglobarvi anche forti venti non in rotazione che, spesso, producono danni simili (ma non uguali) a quelli provocati da venti in rotazione: rami spezzati, alberi o strutture non solide abbattute, ed altri danni di modesta entità (se paragonati a quelli provocati da un tornado). Si tratta di un vento verticale o diagonale in rapidissima discesa su un area d’impatto al suolo più o meno estesa che si espande poi in modo radiale ed in presenza o assenza di precipitazioni. Il suo nome in italiano non esiste.
Il downburst (per fortuna esiste quantomeno un termine in inglese), quindi, non è altro che un forte downdraft. Una volta raggiunta l’area d’impatto esso provoca una violenta espansione iniziale, paragonabile ad uno (seppur debole) “scoppio” (burst), e talvolta produce vortici rotanti ad asse orizzontale entro il quale sussistono campi di vento ravvicinati fra di loro, ad elevata velocità e di opposte direzioni poiché l’inflow che si dirige verso la base del cumulo temporalesco e l’outflow che origina il downburst scorrono l’uno vicino all’altro. Questa caratteristica dinamica determina una zona di forte wind shear orizzontale (variazione di direzione ed intensità del vento sul piano orizzontale, ovvero a diverse quote).
Il termine “downburst” fu coniato dal famoso scienziato Tetzuia Theodore Fujita (il pioniere degli studi sui tornado per eccellenza) in seguito ad un grave incidente aereo avvenuto nel 1976 nella fase di atterraggio proprio a causa di questa tipologia di venti. Scrisse un libro di cui vi propongo l'immagine della copertina.
Esistono diverse tipologie di downbursts in base all’estensione areale:
- microburst: sortiscono i loro effetti su superfici d’impatto al suolo con un diametro inferiore ai 4 Km e solitamente presentano tempi d’azione di 4-5 minuti;
- macroburst: colpisce aree superiori ai 4 Km di diametro per oltre i 5 minuti (nei casi più gravi anche fino a mezz’ora circa) ed ognuno di esso può contenere diversi microbursts.
I downbursts sono generati dallo scompenso che si crea tra updraft e downdraft e nascono quasi sempre da nubi in fase di collasso igrometrico la cui temperatura è più bassa dell’aria circostante. Proprio tale gradiente termico induce pressione più alta nella nube, che causa a sua volta un flusso all’esterno, il downburst, con il risultato di un bilanciamento pressorio.
Questo caso è ben rappresentato da una tipologia di downburst distinta in relazione ad un ulteriore parametro.
Distinguiamo dunque altre tipologie di downbursts in base alla presenza o assenza di precipitazioni:
- wet downburst (umido/precipitativo): agiscono simultaneamente a rovesci di pioggia più o meno intensi e/o grandine. Il suo raggio d’azione è facilmente individuabile dalle relative bande di precipitazioni (“rain or hail curtain”) che fuoriescono dalla base del cumulo ed impattano al suolo. Si origina quando i rovesci evaporano rapidamente durante l’attraversamento dello strato d’aria più calda al di sotto della nube, provocando un intenso e repentino raffreddamento della massa d’aria stessa (“raffreddamento per evaporazione”) che precipita al suolo in maniera accentuata;
- dry downburst (secco): in questo caso, a causa dell’assenza di precipitazioni, non è semplice individuare il raggio d’azione della violenta colonna d’aria discendente al suolo. Tuttavia possono individuarsene alcuni segnali, come il sollevamento di polvere e detriti e “virga” (precipitazioni che, in genere, durante la loro caduta, non raggiungono il suolo a causa dell’evaporazione in strati d’aria molto secca. Si formano al di sotto di cumuli originati dal surriscaldamento di aree umide ma il cui successivo sviluppo avviene in una porzione d’aria povera di umidità relativa. In tal modo l’aria secca, in ascesa nella nube per opera dell’inflow, favorisce l’evaporazione delle goccioline d’acqua con il risultato di un potente raffreddamento della massa d’aria operante che, a questo punto, precipita pesantemente verso il basso.
E’ possibile prevedere in modo piuttosto attendibile la tipologia di formazione di un downburst osservando alcuni particolari della nube:
- la base alta di un cumulonembo denota scarsa umidità nell’atmosfera: poche precipitazioni e forti downdrafts con la potenziale insorgenza di dry downbursts;
- se la base del cumulonembo è bassa invece, l’umidità relativa nell’aria raggiunge valori molto elevati: abbondanti precipitazioni e downdrafts più deboli con la probabilità che si originino wet downbursts.
Solitamente l’azione del downburst evidenzia caratteristiche dinamiche più intense sul bordo avanzante della cella temporalesca che lo ha originato, in un’area che assume il nome di “gust front”. Un downburst, come già menzionato, può causare danni gravi ed assimilabili a quelli di un tornado ma solo in termini “meccanici” (si pensi che i venti possono raggiungere i 270 Km/h!). Non bisogna però farsi trarre in inganno. Se si osservano le dinamiche d’azione di questi fortissimi venti al suolo ci si accorge immediatamente che essi agiscono in modo lineare e non circolare. Per cui, ad esempio, un vitigno abbattuto che presenti la paleria tutta riversa in una certa direzione evidenzia il passaggio di un gust front caratterizzato dalla presenza di violenti downdrafts, ovvero downbursts.
Riprendendo il discorso dell’eccessiva genericità del termine “tromba d’aria” con il quale, spesso, si descrivono episodi meteorologici particolari come il downburst, concludo potendo affermare che, da un lato, giace inesorabile l’efficacia comunicativa della notizia che altrimenti, citando taluni termini tecnici (tra l’altro, anche in lingua inglese), crollerebbe dal suo piedistallo di comprensione da parte di tutto il pubblico recettore; dall’altro vive accesa una pretenziosa speranza, comune a tutti i meteorologi: diffondere e concrezionare nella società alcuni termini tecnici quantomeno al pari di quelli diffusi e compresi negli oroscopi televisivi o radiofonici.
Per cui, probabilmente, sarebbe culturalmente propositivo (soprattutto per le nuove generazioni) ascoltare un giorno una notizia nella quale sentir dire che “i rami sono stati spezzati dagli alberi a causa di downbursts che sono forti venti di ricaduta da una nube temporalesca”. Facile facile.
Una certa tipologia di violento vento in rotazione (generalizzando molto: “tromba d’aria”) è riconoscibilissima e lo è in modo inequivocabile sia per l’osservazione (quando possibile) della colonna d’aria in rapidissima rotazione (condensazione e debris) e sia per la tipologia dei danni causati. Potrebbe rivelarsi utile, prima di “suonare” la notizia con improbabili “trombe” d’aria o marine, consultare uno dei siti meteo che annoverano una sezione di “fenomeni temporaleschi” e ne curano il monitoraggio (chiaramente faccio orgoglioso riferimento a climateobserver.it e meteoportaleitalia.it) e fornire al pubblico una notizia meno generica ma più esatta e comprensibile nonchè giustificabile.
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